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mercoledì 19 settembre 2012

Ma che film la vita

Il calendario dice che i giorni si staccano dal presente uno a uno, l'orologio batte il tempo per ricordarmi che sono tante le cose da fare in ogni momento, il telefono squilla e mi dice che qualcuno ha bisogno di un piacere, vuole vendermi un'enciclopedia sul paramecio o, più raramente, vuole sentire la mia voce per accertarsi che io ci sia. 
Il fine settimana appena trascorso mi ha vista gravitare in un universo parallelo, in cui il telefono non prendeva, il calendario si è suicidato gettandosi dal chiodo e l'orologio ha avuto un infarto con improvvisa sospensione del battito. Questo universo si chiama teatro.
Ho avuto la fortuna di partecipare al seminario di tre giorni organizzato da Stradanova per scegliere la squadra allargata da cui usciranno attori e aiuto registi per l'allestimento di "Sacrificio" ed è stata un'esperienza travolgente.

Prendete una cinquantina di giovani appassionati di teatro, chiudeteli in un teatro, metteteci un talentuoso film maker, due umani registi con grandi capacità di resistenza  e gustatevi l'esperimento sociale che fa impallidire il Grande fratello e tutti i Reality Show di questo mondo. Vi aspettate competizione e rivalità? Ecco invece cosa è successo.

Il tempo è scandito dai respiri, dapprima appesantiti dall'ansia e poi in volo; rintocca nei versi del Re Lear di Shakespeare e nel loro incedere via via più sicuro; batte nello sfogo di un applauso. 
Il tempo si affretta a stringere i nodi di legami tra cuore e cuore, effimeri forse, ma non per questo meno intensi. Fa il tiranno, si rende prezioso, si avvita su se stesso quando è il momento di provare e riprovare lavorando sulle parti.
Il tempo giardiniere passa, annaffiando le capacità di ognuno, potando gli eccessi, concimando i talenti.


Gli attori che sono saliti sul palco domenica non erano più gli stessi di venerdì sera. Prima erano normali ragazzi del nostro secolo. Alla fine sono diventati subdole Goneril, bastardi Edmund, trafelati gentiluomini, accorati Lear, profetici Fool, capaci di trasmettere una vibrazione intensa e senza età. Il tempo passato insieme ha fatto crescere ognuno di noi, senza distinzioni. In questo non importa affatto il risultato. Ognuno di noi si è sentito parte del progetto, ognuno di noi è un ingranaggio fondamentale del meccanismo di "Sacrificio". In questo ho avvertito per la prima volta in concreto cosa sia lo "slow theatre".

In attesa della cerimonia conclusiva del casting, da cui dovevano uscire i risultati, ci siamo trovati finalmente distesi e rilassati a giocare a pallavolo con un pallone rimediato. In quel momento, tra una risata e una pallonata, ho pensato che è profondamente scorretto il luogo comune che vuole che i giovani d'oggi non abbiano più passioni. E' un luogo comune scorretto perchè manca della premessa: se non viene loro dato modo di credere in un sogno, i giovani non hanno passioni. Se gli adulti non trasmettono entusiasmo, i giovani non sono stimolati alle passioni. Se il mondo pretende di farli adagiare sulla normalità, i giovano perdono le passioni.

"Sacrificio" è un progetto da sognatori, da Don Chisciotte che sfida i mulini a vento della spazzatura culturale ammassata dalla società televisiva. I giovani l'hanno seguito d'istinto: più di duecento persone hanno partecipato alle prime selezioni. Allora domandiamoci perchè i giovani non sono attratti dalle filodrammatiche: non possiamo più nasconderci dietro un dito e dire che temono gli impegni. Chiediamoci se offriamo loro il modo di crescere. Chiediamoci se offriamo loro l'opportunità di imparare. Chiediamoci se offriamo loro la possibilità di continuare a sognare.

giovedì 2 agosto 2012

"Sacrificio" e la nuova strada

Noi bibliotecari, si sa, siamo campioni olimpici di ginnastica culturale fantasiosa: ci slanciamo sulle parallele di bilancio e aspettative, che non si incontrano mai; piroettiamo con alterni umori tra "Il Signore degli anelli" di Tolkien e "L'anello" di Danielle Steel; saltiamo sui cavalli dei best seller per cercare di afferrare qualche libro sconosciuto, che se ne sta lassù, nell'Olimpo della piccola editoria; facciamo i salti mortali tripli per movimentare il deserto dei Tartari che ci circonda. 
Quando ci capita di imbatterci in qualche idea culturale innovativa siamo attirati come le api dai fiori (o come i tafani dalle mie gambe, paragone più calzante in questi giorni). Proprio per questo quando sono incappata nel bando per i provini di "Sacrificio", mi sono lasciata prendere all'amo dall'idea di superare il campanilismo e di mettere in scena uno spettacolo trentino di alto livello, con competenze selezionate e obiettivi ben definiti.
Dopo il primo colloquio selettivo, per il provino mi è stato chiesto di visionare il "Re Lear" di Shakespeare con la regia di Strehler. Negli scorsi mesi mi sono imbattuta nella monumentale figura di Strehler, grazie alla passione di un amico, e sono stata incantata dalla sua biografia e dalle foto dei suoi spettacoli. Con la mia connessione lenta, non sono mai ruscita a vederne in internet più di qualche spezzone, per cui ho colto con gratitudine l'occasione per prendermi il tempo necessario e scaricare il video.
Sono state quattro ore che mi hanno fulminata: il "Fool" Ottavia Piccolo mi ha lasciata a bocca spalancata, il "Lear" Tino Carraro ha fatto vibrare variazioni di sentimenti in equilibrio tra il bene e il male, i personaggi negativi mi hanno messa davanti ancora una volta all'abisso dell'ipocrisia. Avevo già letto il "Re Lear" qualche anno fa, ma ritrovarlo così mi ha dato una scossa incredibile: l'attualità del genio di Shakespeare mi è apparsa come mai prima avevo colto. Anche in passato ho riso alle sue trovate comiche e pianto per la caduta dei suoi personaggi tragici. Mai però ho avuto come oggi la voglia di mostrare a tutti l'eccellenza: l'accoppiata S & S, Shakespeare e Strehler, partorisce una creatura prodigio, resistente al tempo e allo spazio. Se avete voglia di investire in una banca sicura qualche ora del vostro tempo, trovate qui la prima parte e qui la seconda. Vi garantisco che in questa banca anche dalla crisi più profonda nascono riflessioni che fanno crescere gli interessi del nostro capitale umano!

Non so come andrà il provino, ho visto nomi di persone che conosco e rispetto per la loro esperienza e bravura, per cui non ho grandi aspettative. Sono però felice di essere arrivata fin qui, di aver avuto l'opportunità di farmi penetrare da qualcosa di cui avevo solo il sentore, di crescere un po' conoscendo persone che credono fermamente nell'importanza della cultura e della divulgazione.
Auguro a "Sacrificio" una gestazione piena e serena, un parto che faccia apprezzare la bellezza di certi dolori e una crescita sana e vigorosa. Certo, servono tante energie per produrre i semi futuri e non sempre le coscienze sono terreno fertile. Aprire una nuova strada non è impresa semplice: i rovi pungono e il deserto vuole la sua parte. Ho visto però forza, pazienza e passione, machete sufficiente ad aprire il primo varco!

martedì 24 luglio 2012

La "filìa"...e il cerchio di un Prete.

Certi giorni vanno così. Apri un vaso e dirompenti escono i venti di notizie che vorresti cacciare, soffiare via con tutte le tue forze. 
Ho appena saputo che è morto Don Attilio, il professore di matematica che ha accompagnato anni della mia vita con la sua burbera ironia, anche quando non insegnava più nella mia classe. Una retta tangente all'iperbolico entusiasmo dei miei 18 anni, un assioma incrollabile da conservare nel cuore e nella mente, un'espressione che ci ha insegnato ad affrontare le incognite della vita.
Proprio ieri ho letto con indignazione dell'ennesimo caso di preti pedofili, uomini errati, uomini non Uomini. Con tanta più forza ora voglio dire che ci sono ancora Uomini che hanno dedicato ai giovani la loro vita, a volte travagliata, senza chiedere in cambio nulla, senza ipocrisie, senza sotterfugi. Solo ed esclusivamente per quel sentimento che i Greci chiamavano φιλία, "Amore" immateriale, amicizia della vita e del prossimo senza chiusura di cuore.
Mi sembra impossibile: la settimana scorsa hanno regalato ai miei figli due "marenghi d'oro" e mi è affiorato spontaneo il ricordo delle interrogazioni di matematica, quando don Agostini chiamava il malcapitato di turno con una delle sue frasi celebri: "Vei chi, che te dago en marengo d'oro!".  I motti di "Attila", passato alla storia per la sua apparente inflessibilità, hanno inciso la memoria di generazioni di studenti. 
Superati gli spigoli, don Attilio appariva rotondo, accogliente, giusto. Come un teorema, che una volta trovata la via della dimostrazione si apre in tutta la sua meravigliosa semplicità. Un uomo delle montagne, fatto di roccia e di vento, saldo e maestoso nella sua severità.
Il ricordo più caro che ho di lui è una ricreazione passata vicino alla finestra a parlare. Appena rientrata da un anno trascorso in Germania, ero in crisi per l'imposizione improvvisa della scuola di recuperare con un esame tutte le materie dell'anno "perduto" ed ero stata attaccata da più fronti per la mia decisione di partire. Lui, il matematico circolare dalla mente aperta, è stato uno dei pochi che mi hanno sostenuta  e lo ha fatto spiegandomi che le nozioni non valgono mai quanto un tempo di nuove esperienze. Lui, il professore severo con chi non studiava, mi ha insegnato a non farmi abbattere da quello che pensano gli altri. L'amore per la vita implica, inesorabilmente, di viverla in pieno. Senza rimpianti.
Capita ancora che le persone fraintendano il mio modo di essere, che nei miei entusiasmi trovino malizia, o che nella φιλία scorgano altro. Sono i Maestri che ho incontrato nel mio cammino che mi hanno insegnato ad andare a testa alta, ad affrontare il mondo con il sorriso senza paura di quello che gli altri vi possano scorgere. Non ho imparato la capacità di affrontare le espressioni a troppe incognite, non ho imparato il calcolo veloce, la comprensione immediata dei problemi troppo complicati per me. Ho imparato però l'arte della pazienza, dell'ascolto, dell'analisi imparziale dei dati, dell'accettazione delle infinite possibilità. Tutto è relativo, certo, ma le stelle fisse non si muovono. I punti di riferimento restano imperturbabili e mi ci abbarbico con la forza disperata di un naufrago.

Domenica ho cercato e ascoltato a più riprese questa canzone di Branduardi: ora so che non è stato un caso. Sali alto sopra le tue montagne, cuore di Matematico; lascia la zavorra dei tuoi mali e non dimenticarti i marenghi d'oro. Ti riempia le tasche l'oro di tutti i sorrisi che hai provocato e di tutte le lacrime che chi ti ha amato non può trattenere ora. Il cerchio non si è chiuso; ha aperto le sue braccia diventando retta, un'infinita retta da percorrere con Speranza. Fede. Φιλία.

venerdì 13 luglio 2012

Gratias a la vida!

Servirebbe un vocabolario fatto di parole silenziose e dense per scrivere la poesia dei sette giorni appena trascorsi. Da un libro sono partite riflessioni su cosa conta realmente e i pensieri hanno preso il volo sulle ali della musica di Joan Baez, che ho avuto il privilegio di ascoltare dal vivo a Trento. Le note di pace e amore, di vita e natura hanno trovato eco tra le mie montagne che negli scorsi giorni mi hanno coccolato: la Vallestrè ci ha accolti con i suoi pascoli, il lago di Nembia ci accarezzato con la sua aria fresca, Deggia ci ha abbracciati con la sua ombra luminosa.
Ieri a Deggia è stata una giornata piena di poco: di chiacchiere, risate, luci di bambini. Mani che lavorano, occhi che riflettono, orecchie aperte. Proprio lì negli ultimi tempi ha trovato dimora uno degli orsi e ieri per la prima volta mi sono sentita in armonia perfino con lui, che ha avuto la disgrazia di imbattersi in turisti che l'hanno visto bianco come una qualsiasi pecorella. Ora me lo immagino vagare per i nostri boschi con crisi di identità, cercando uno specchio per accertarsi di non essersi trasformato in un orso polare. 
Donne che ridono, donne che lavorano, donne che immortalano con un clic di cuore ogni momento vissuto insieme in semplicità. A loro voglio regalare questa canzone che meglio delle mie chiacchiere riassume il senso delle mie emozioni. 
Anche Cinciarella e Lara dicono la loro sul tempo passato insieme ieri!


"GRACIAS A LA VIDA", JOAN BAEZ

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me dio dos luceros que cuando los abro
perfecto distingo lo negro del blanco
y en el alto cielo su fondo estrellado
y en las multitudes el hombre que yo amo.

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
me ha dado el oido que en todo su ancho
graba noche y dia grillos y canarios
martillos, turbinas, ladridos, chubascos
y la voz tan tierna de mi bien amado.

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me ha dado el sonido y el abedecedario
con él las palabras que pienso y declaro
madre amigo hermano y luz alumbrando,
la ruta del alma del que estoy amando.

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me ha dado la marcha de mis pies cansados
con ellos anduve ciudades y charcos,
playas y desiertos montañas y llanos
y la casa tuya, tu calle y tu patio.

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me dio el corazón que agita su marco
cuando miro el fruto del cerebro humano,
cuando miro el bueno tan lejos del malo,
cuando miro el fondo de tus ojos claros.

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me ha dado la risa y me ha dado el llanto,
así yo distingo dicha de quebranto
los dos materiales que forman mi canto
y el canto de ustedes que es el mismo canto
y el canto de todos que es mi propio canto.




GRAZIE ALLA VITA

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato due stelle che quando le apro
perfetti distinguo il nero dal bianco,
e nell'alto cielo il suo sfondo stellato,
e tra le moltitudini l'uomo che amo.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato l'ascolto che in tutta la sua apertura
cattura notte e giorno grilli e canarini,
martelli turbine latrati burrasche
e la voce tanto tenera di chi sto amando.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il suono e l'abbecedario
con lui le parole che penso e dico,
madre, amico, fratello luce illuminante,
la strada dell'anima di chi sto amando.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato la marcia dei miei piedi stanchi,
con loro andai per città e pozzanghere,
spiagge e deserti, montagne e piani
e la casa tua, la tua strada, il cortile.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il cuore che agita il suo confine
quando guardo il frutto del cervello umano,
quando guardo il bene così lontano dal male,
quando guardo il fondo dei tuoi occhi chiari.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il riso e mi ha dato il pianto,
così distinguo gioia e dolore
i due materiali che formano il mio canto
e il canto degli altri che è lo stesso canto
e il canto di tutti che è il mio proprio canto.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto.


sabato 7 luglio 2012

Telaio mezzo pieno (dopo il mezzo vuoto)...

Ci sono voluti cinque mesi per mettere al mondo questo post, tra bozze abortite e fotografie lasciate a prender la polvere. Di cinque mesi ho avuto bisogno per capire che il tempo mancante o la pigrizia sono state solo scuse accampate per mettere in prigione le parole, per imbrigliare la voglia di mettere parti di me in semi lanciati nel mondo.
Avrei voluto scrivere dell'arte della tessitura, di cui la mia amica Cinciarella mi ha insegnato con pazienza i rudimenti. Sentivo naturale il paragone con la vita, con il suo andare e venire, i suoi colori, le sue cesure. Avrei voluto parlare del Tessitore che intreccia i fili delle nostre anime e ne fa tappeti di storie. Il Tessitore che "davanti all'orditoio fa scorrere tra le mani il prezioso filo di secondi intrecciati e con movimenti esperti crea incroci a forma di infinito. Il bandolo che sguscia dalle sue dita alla fine della matassa viene fermato con un nodo, colonna d'Ercole che protegge dal vuoto. Con immensa cura ogni filo trova la sua collocazione sul telaio, con tensione adeguata e lunghezza perfetta". Ho iniziato a scrivere dei fili buoni e di quelli che si spezzano, della forza dell'ordito e della variabilità della trama. Come Penelope non ho mai portato a termine questo piccolo stralcio di vita. Perché?
Ora ho capito che per mesi ho avuto il terrore di perdere le mie parole. Ho scritto per dovere, ho scritto per me, ho scritto per svuotare invece che per riempire. Ho accumulato mucchi di parole non scritte in un deposito sulla collina, intoccabile e inarrivabile, perché più nessuno potesse scalfire il mio tesoro, quello che le parole esprimono. Perché nessuno potesse più tirare il bandolo e distruggere in un secondo il senso del lavoro. Perché non ci fossero più frantendimenti a inquinare i miei entusiasmi.
Poi ho ricevuto delle scuse, di cui non pensavo di avere bisogno. E ho capito che non è da me risparmiarmi, che non posso chiudermi in cassaforte per paura che gli altri non capiscano, che non posso stare senza entusiasmarmi di fronte alle persone che in qualche modo rientrano tra i fili di colore complementare al mio. Sono gialla, irrimediabilmente gialla. Il mio filo stona, irrita, non sta bene con tutto. Posso esaltare i colori che ho vicino, purchè non cerchino di spegnermi a forza. So stare anche con il nero, qualche volta. E' il grigio che proprio non sopporto: il grigio che non trova un sorriso e che si sente tanto elegante.


Riparto da qui: dai tanti colori cui mi sono sentita affine in questi giorni, dai fili di ordito che sono solidi e brillanti, dalle prospettive di disegni futuri. Accetto il fatto che ci sarà ancora chi non comprenderà il mio entusiasmo, chi criticherà i miei disegni e chi non avrà la forza di accettare il mio giallo. Qualcuno cercherà ancora di passarmi in lavatrice a 90 gradi, ma ormai ho capito che non stingo e non mi restringo.
 


Riparto da un tappeto colorato e dalle persone speciali che hanno aspettato finora per vedere le loro foto nel mio blog. Riparto da abbracci di anime piene e dalle tante trame vive e in costruzione. Chi ha paura del giallo può sempre scappare in un altro telaio e non per questo sarà meno importante per me!

 

martedì 14 febbraio 2012

14 febbraio

Sono passati vent'anni dal primo grande distacco della mia vita. E neanche a farlo apposta in questi giorni sono successe molte cose che mi hanno fatto pensare.
L'altro giorno quando sono andata a prendere i bambini a casa dei miei, Brugola indossava un maglione che era mio quando avevo la sua età. Mia mamma ha regalato quasi tutte le mie cose e vedere addosso alla mia bimba una maglia lavorata da mia nonna mi ha stretto il cuore in un abbraccio. Credo sia l'unico maglione rimasto e non l'avevo mai più rivisto prima di domenica.
Sempre domenica, rovistando tra vecchie lettere (per caso?) ho ritrovato una carta che cercavo invano da anni. E' l'unica poesia di mio nonno dedicata a me: l'ho sempre conservata gelosamente, ma nel trasferimento era andata persa. Non è mai stata pubblicata per cui non ne restavano copie e io ne ricordavo a memoria solo metà. Non so descrivere la gioia intensa che ho provato, il calore del sollievo che si è sciolto in lacrime senza che potessi far nulla per fermarle.
Oggi è un giorno strano, uno di quelli in cui ho bisogno di un abbraccio che non esiste più. O che esiste, ma non si vede.
In quanti momenti avrei voluto vedervi, non solo sentirvi, al mio fianco! Quante piccole e grandi felicità avrei voluto dividere con voi. 
Oggi è San Valentino, ma San Valentino non è una giornata da festeggiare. Non lo è mai stata. 
Domani andrà meglio e allora potrò sentirvi più vicini, potrò di nuovo affidarvi tutto quel che ho. Ora è il momento del senso di vuoto, ancora. Non credo passerà mai.


GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!

domenica 12 febbraio 2012

NELLA PANCIA DELLA BALENA - pensieri da day after

Fruttero amava Pinocchio con tutto il cuore, lo riteneva una metafora della vita, dell'umanità e della storia. Ieri ho capito perché.
Gabriele Penner, autore dello spettacolo "Nella pancia della balena. Canto in memoria delle vittime delle foibe", ha intrecciato le vicende del burattino collodiano con la storia, quella infida, la dea cieca che quando infuria schiaccia le persone come oggetti.
La storia, con la s minuscola, però ha dei responsabili. Chi ha istigato la violenza, da una parte e dall'altra, senza avere nemmeno un briciolo della saggezza di Geppetto e Mastro Ciliegia: "Finito il combattimento, mastr'Antonio si trovò tra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si accorse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname. -Rendimi la mia parrucca! - gridò mastr'Antonio. -E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace. I due vecchietti, dopo aver ripreso ognuno di loro la propria parrucca, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita."

Lascio questo piccolo spunto e non vado oltre. Non sono in grado di rievocare per chi non c'era la bravura di Sarah Paoletti nei panni di Patrizia, una ragazzina che non vuole capire la logica (o "illogica") degli adulti.
Chi non c'era non capirà i riferimenti al lupo che cerca il pretesto per sbranare la pecora.
Come posso spiegare la potenza evocativa di un velo che cela senza nascondere? (Magia del tecnico-creativo Jacopo Roccabruna)
E le ombre? Le ombre di vite non vissute, di vite che avrebbero potuto spiegare le ali al vento se il pescecane non le avesse inghiottite.

E l'aggraparsi alle storie, ai libri, a Pinocchio per non impazzire. Perché le gesta di un burattino sono più umane di quelle degli uomini, a volte.

Grazie al Teatro d'acqua dolce, a Gabriele, a Sarah, a Jacopo. Grazie per aver guardato nel buio con occhi limpidi e liberi da lenti. Grazie per averci regalato un emozione, un singulto, un piccolo peso da portare. Il peso della storia, e della Storia, diventerebbe più leggero se ognuno portasse la propria parte. E il peso ci ricorda quale via seguire, anche nelle piccole azioni.

Gabriele Penner
Sarah Paoletti
Jacopo Roccabruna


lunedì 16 gennaio 2012

Fruttero: gioia di vivere

L'ho letto solo ora. Che il mio Carlo Fruttero, lo scrittore che ha rapito il mio cuore con la sua parola acuta e vivace, non scriverà più nulla. Da giorni ho sul comodino uno dei suoi libri, come mi capita sempre di fare quando qualcosa mi rende triste. Ora ho questo dolore forte da superare, questa tristezza che nemmeno il balsamo delle sue parole potrà lenire in fretta. 
Non ho mai indugiato sulla vuota ritualità che colpisce il paese quando muore un personaggio pubblico. Nemmeno ora lo farò: non comprerò i suoi libri che escono in edicola (ma come: erano già pronti, anche questa volta?), non guarderò le trasmissioni commemorative che ci saranno (chissàsecisaranno), non condividerò link su facebook.



 

Voglio solamente ricordare come mi sono innamorata di lui. Qualche pagina letta da "Donne informate sui fatti", prima di prestarlo ai miei utenti. Il colpo di fulmine sentendolo parlare da Fazio: lo spirito, la dolcezza della voce, il sorriso me l'hanno fatto sentire vicino. Profondamente in sintonia con le corde che attraversano la mia anima. 
Da allora ha preso il suo posto accanto a Calvino tra gli scrittori che mi cullano quando il mondo mi opprime. Che mi consolano quando le persone mi feriscono. Che mi avvolgono nel calore delle parole quando il gelo di gesti insinceri vuol far rabbrividire la mia gioia di vivere.
Quante volte ho immaginato di scrivergli una lettera! Ho in testa tutte le parole che gli avrei detto: le ho limate e riscritte nella mente centinaia di volte, trovandole sempre imperfette e indegne di arrivare a lui. Ora so che non esistevano le parole per raggiungerlo: troppo in alto, troppo vicino al cielo.

Mi mancherà, veramente. Mi mancherà la sua ironia, che vorrei esser la mia. Mi mancherà il suo sorriso nonostante il mondo. Mi mancherà la dolcezza di quella risata aperta e saggia. Un saggio, ecco. Una persona che ha amato la vita e in silenzio l'ha lasciata. In punta di piedi e delicatamente, come per farci uno scherzo. 
Signor Fruttero, spero che Lei possa finalmente bere il Suo tè con Calvino, scambiandovi parole saggiamente folli. E che l'eco di quelle conversazioni possa arrivare a noi...

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-a1eeeb8c-1486-4caa-b22c-e15ff0185534.html